Tre poesie da Formulario per la presenza di Francesca Innocenzi

Città di acciottolati liquefatti nella pioggia

città di vento e sole

                               di voci e di campane

e uomini vendevano gli stracci per vestire

giocosamente il nulla

   

città di mimi e attori

                                 di manicomi e di ospedali

dove noi ci salutammo frodati di risposte

sul gradino di un portone infranto

* * *

Quando ci si chiede di te si pensa

che il dopo è un codice a barre sul nulla

agonie da camera di tarli legnosi

                                                     che si sfrangiano

e si smateriano come cenere in un’urna

momentaneamente riposta

da offrire in pasto a un cetaceo di pietra

nella marina verde oltre il cancello

(a mia madre)

* * *

Il tempo anelato istante eterno

Il tempo anelato istante eterno

è caduto come miele sul selciato

   

il tempo, profumo di pruneto

rifugio e scampo al tuo corpo voluto

   

la ferrea leggerezza che in te ho accarezzato

stasera serbo

                  scherzo di brezza su salice muto

* * *

Nelle poesie di Francesca Innocenzi, tratte dalla raccolta Formulario per la presenza (Edizioni Progetto Cultura, 2022), la narrazione poetica si innesta su immagini giocate nello spazio tra similitudine e metafora per poi procedere da esse e dipanarsi, parola dopo parola, nell’assenza quasi assoluta della punteggiatura. Qui il ritmo è comunque offerto e orchestrato dalla costruzione spesso sfranta dei versi, i quali visivamente sembrano slittare quasi gli uni sugli altri, mentre la melodia prosegue tra una presa di fiato e una pausa a mimare, così, la sequenza di immagini e ricordi che si articolano attraverso il tempo soggettivo dell’io che le narra.

È appunto il rapporto col tempo che man mano si delinea nel canto: un legame che sembra caratterizzato dalla sua stessa perdita e, dunque, abitato solo nel ricordo dell’io che rammemora ciò a cui manca una risposta e una corporeità da toccare nel suo presente narrante. Un corporeità sostituita dalla vividezza delle immagini a loro volta ricordate quasi ad ingannarne, tramite la parola, l’inconsistenza tra le proprie mani. È in questo spazio, tra assonanze e verbi allitteranti tra di loro, che fluisce così il canto che ricorda le cose, attendendone il riscatto.

  • Paolo Andrea Pasquetti, 24 Gennaio 2023

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