#25
Ancora impigliato
tra i fili perlacei del sonno
limbo caduco
d’irreale parvenza.
Narrazioni incorporee
rilucenti gli spettri, i varchi.
Mente come umido plasma
assorbe le rotte inconsuete.
Precipita! Tace!
Entro luoghi di ruggine
una donna rincorre la vita.
* * *
#28
Non rischierò il braccio
per saperti difforme
per affliggere
smaniosa
le corde ruvide
del mio fulgore.
Un tempo troppo grande
esiguo e pregno,
di nicchie scivolose.
* * *
#35
Su corridoi bui
la luce assaliva le finestre
sostavi sulle poltrone
e ne incurvavi le morbidezze
mentr’io ero rigida
rigida e assorta
su malinconie circolanti.
I versi di Giorgia Leuratti, tratti dalla sua raccolta Inchiostro (Robin Edizioni, 2022), si innestano su una forte riproposizione di antitesi sensoriali – dalla vista all’udito e così via – attraverso le quali l’io tenta di narrare col canto una realtà che ondeggia ad ogni movimento e sguardo, mutando i suoi contorni verso dopo verso. Un canto che, in tal senso, sembra caratterizzato da un ritmo dissonante, che procede a strappi verbali da una pausa sintattica all’altra: un mimare la stessa labilità dell’esperienza vissuta da chi ora, sulla pagina bianca, la racconta tentando una forma riconoscibile alla quale appellarsi.
Così, il racconto poetico si fa racconto della ricerca di un corpo, di un contorno stabile grazie al quale riuscire ad abitare il mondo con sé e con l’altro che scorre acconto nella sua corporeità non meno difforme: trovare dunque una parola che dica e delimiti, definisca le cose nelle quali restare.
- Paolo Andrea Pasquetti, 27 Aprile 2023.