Il fango sporcava le scarpe del ragazzo mentre gruppi di nuvole scure si allontanavano dal cielo, trattenendo nell’aria l’umido del loro passaggio. Dopo aver lasciato il vecchio proseguire per la sua strada verso il villaggio, esaltato dalla sua storia si era inoltrato nella vecchia foresta nella speranza di trovare il sentiero per la radura: dopo due giorni passati a vagare nel sottobosco tra sentieri sbaditi, a stento riconoscibili dal resto della vegetazione e dai cespugli di biancospino che costellavano il tappeto della foresta, aveva iniziato a disperare. Poi era arrivata la pioggia. La quieta immobilità autunnale degli alberi che tanto infondeva in lui un impasto di sensazioni a metà tra nostalgia e tranquillità si era rotta una mattina, appena sveglio, insieme allo scrosciare battente delle gocce d’acqua tra i rami. Non aveva potuto neanche stiracchiarsi un attimo dentro il sacco a pelo ancora caldo che dovette ritrovarsi a correre sotto la corteccia dell’albero più vicino, già completamente zuppo. «Dannazione…» pensò sottovoce nella propria testa mentre riarrotolava il suo letto di fortuna e metteva al riparo i suoi oggetti da viaggio. Cercava di rimanere calmo: in fin dei conti non poteva controllare lo scorrere del tempo, ma un temporale così improvviso dopo giorni perfettamente limpidi e quieti sicuramente non faceva che confermare i suoi sospetti sulla stranezza insita in quel luogo. Dopotutto il vecchio lo aveva avvertito, continuava a ripetersi nella testa mentre avanzava a tentoni nel sottobosco fangoso. Quelli che prima erano sentieri difficilmente identificabili ora si erano trasformati in un vero e proprio labirinto acquitrinoso nel quale l’unica cosa saggia da fare sarebbe stata fermarsi ed aspettare un’occasione migliore per proseguire. Il ragazzo però aveva ancora nel petto il fuoco guizzante della notte passata con quel misterioso vecchio, l’immagine dei due poeti e il grande albero della radura: voleva raggiungerla al più presto, non importava quanto ci avrebbe messo o quanta fatica gli sarebbe costata lungo il percorso. Sospirò profondamente, cercando di scacciare dalla mente i pensieri avvilenti sulla sua situazione e avanzò, affondando la scarpa destra in una pozza fangosa che non sarebbe stata di certo l’ultima del percorso che aveva davanti a sé. Dopo poco tempo e con molta fatica credette di riconoscere una pietra muschiosa che forse aveva già incontrato il giorno prima, e fece per superarla: il piede scivolò sul muschio umido alla base rocciosa e il ragazzo finì rovinosamente a terra tra il fango e le foglie appiccicose e bagnate. Il dolore della caduta gli tolse il fiato di colpo, e non riuscì neanche a gridare dal dolore o dalla rabbia: passati i primi attimi di sorpresa e stringendo i denti cercò di tirarsi su aggrappandosi con la mano destra fangosa sulla roccia infida, e non senza difficoltà tornò in piedi. Completamente ricoperto dal fango e dalle foglie maledisse se stesso e la propria cocciutaggine per essersi imbarcato in quell’avventura disperata, e si mise a sedere sconsolato sotto uno degli alberi dove l’erba non era troppo bagnata. Ora iniziava a odiare tutte quelle foglie che da secche nascondevano i sentieri da seguire e ora da bagnate erano diventate una coperta vischiosa e avvolgente per tutto il sottobosco. «Sto girando in tondo da giorni come un idiota alle prime armi…» disse sospirando con la voce ancora ansimante per lo sforzo. Poi appoggiò la testa sul tronco dell’albero dietro di lui e chiuse gli occhi stanco, mentre il fiato usciva fuori dalla bocca disperdendosi in vapore nell’aria circostante immobile dopo l’acquazzone improvviso. Non seguì più il filo dei suoi pensieri e tutto divenne buio, sprofondando lentamente in un sonno umido che sapeva di muschio e foglie bagnate, quasi allucinato dagli odori della foresta piegata al vento che stava portando via le nuvole una ad una. In quel momento una goccia staccatasi da un alto ramo sopra di lui cadde sulla sua fronte: il rimbombo di qualcosa caduto dentro un lago limpido riempì la sua mente accanto all’oscurità che circondava il suo corpo di sogno tra lo scorrere delle ore diluite nel tempo. Si agitò convulsamente mentre dormiva, incurante del fango e delle foglie che lo ricoprivano nel mondo esterno. Poi i suoi passi riecheggiarono nell’acqua bassa del lago, muovendosi lentamente nel buio della visione. Proseguendo iniziò a percepire davanti a lui la presenza sbiadita di qualcosa di antico eppure allo stesso tempo vigoroso e d’un tratto una foglia verde, staccando col suo colore nell’oscurità, svolazzò davanti a lui portata da una brezza leggera e tiepida, intrisa dei profumi delle campanule. Mentre si avvicinava, il ragazzo la guardò dapprima stupefatto, poi una volta davanti ad essa fece per scansarla con la mano: in quel momento nel tentativo di muovere il braccio si sbilanciò in avanti, mentre l’odore sottile e confortevole svanì di colpo accompagnando la sua caduta rovinosa nell’acqua, improvvisamente gelida e profonda come l’abisso dei ricordi di generazioni innumerevoli. Urlò disperato con l’acqua fin dentro la gola, ritrovandosi di nuovo disteso sotto l’albero della foresta dove si era addormentato ricoperto di sudore, dal fango e dalle foglie mentre tutto attorno a lui giaceva nel silenzio di una mattina abbandonata da poco dalla pioggia.
Era ormai mezzogiorno quando il ragazzo si ricongiunse alla via maestra che passava nella parte più esterna e rada della foresta, dove aveva parlato con il vecchio in un tempo che ormai gli sembrava appartenere ad anni lontani. Cercando di non pensare ad altro si rimise lentamente sulla strada verso il villaggio che sorgeva tra le pianure: con una giornata di cammino a buon passo sarebbe giunto al più presto da dove era partito e avrebbe potuto rifocillarsi e recuperare le forze, prima di lasciare la regione. Il sogno che lo aveva portato tra quei luoghi, chiedendo di casa in casa tra i contadini del posto in cerca di vecchie storie su una radura nascosta nell’antica foresta lì vicino e sulle leggende che aleggiavano attorno ad essa sembravano aver lasciato ormai il passo alla delusione cocente. Tanto valeva non pensarci più e tornare indietro: ci sarebbero stati altri luoghi da visitare, altri sentieri dove cercare le parole che inseguiva da tempo. O forse, iniziava a pensare appesantito, bisognava lasciar andare per sempre le parole e la via da loro tracciata, rinchiudersi in un angolo di mondo abituandosi ad altro. Pensò alla bottega di famiglia in città dalla quale era fuggito carico di speranze e desideri: forse adesso tornare e seguire la strada che i suoi genitori avrebbero voluto per lui non sarebbe stata una sconfitta, ma un reale ritorno alla vita tra tutti gli altri. Eppure, mentre pensava con convinzione sbiadita a quelle cose, pulsavano con forza nella sua mente le immagini della visione boschiva di qualche ora prima. Quella foglia danzante nel buio continuava a tempestarlo, portando con sé ogni volta il suo odore forte e allo stesso tempo leggero delle campanule. Si sentì tremendamente in colpa per aver scacciato quella foglia sottile nei propri sogni, aver forzato la mano credendo di sapere e poter afferrare i propri lampi di parole che pensava di aver davanti, cedendo dentro il suo sentiero a una mente opaca e tagliente che non credeva di possedere. Salirono ai suoi occhi lacrime di rabbia e vergogna mentre proseguiva verso sud-est, e avrebbe voluto gridare per sfogarsi calciando i sassi sul proprio cammino quando sentì, portato dal vento, il rumore non toppo lontano di ruote e zoccoli sulla terra battuta della strada. Su quella via non molti erano i viaggiatori e non meno interessanti i motivi dei loro viaggi; perciò, il ragazzo decise di aspettare al lato della strada il passaggio di chi si stava avvicinando lentamente. Il rumore crebbe e si fece ben definito, nello sferragliare delle ruote di carri attutito e avvolto dal silenzio della foresta tutto intorno, assieme agli zoccoli di cavalli che lentamente si portavano in avanti tra gli alberi. Mentre il ragazzo attendeva incerto sul ciglio della strada sentì il rumore indistinto e vacuo di alcune voci che richiamavano gli animali, e dalla svolta della strada che si trovava davanti a lui venne fuori lentamente un carro avvolto da spesse tende grigie trainato da cavalli neri, seguito da altri tre carri quasi identici a formare una piccola ed ordinata carovana che procedeva placida lungo il sentiero della vecchia foresta verso nord. Incuriosito dalla lenta processione di quei carri, il ragazzo rimase fermo dove si trovava in attesa che la carovana passasse di fronte a lui. Fu in quel momento che, ormai a pochi metri di distanza, notò che sedute alla postazione di guida dei carri stavano figure avvolte in vesti di un grigio che non avrebbe saputo ben definire: a volte sembrava perdersi nel nero delle ombre proiettate dalle fronde degli alberi sopra di loro, altre volte si diluiva nel bianco opaco del cielo ancora non del tutto schiarito, illuminato da una luce malsana mentre il sole stava ancora nascosto nella foschia. Le figure parevano immobili alla guida delle briglie dei cavalli di fronte a loro e non sembravano essersi accorte del viandante al lato della strada quando, d’un tratto, una delle due sedute nel carro che faceva da apripista con una voce tenue e indistinta comandò ai cavalli di fermarsi, forzando leggermente la briglia mentre accostava il mezzo di trasporto di fronte al ragazzo che osservava confuso la scena. Uno degli animali sbuffò vigorosamente nell’aria, incurante della nuova persona al suo fianco. «Dove avanzi da solo e malridotto per la vecchia foresta?» sentì il ragazzo provenire con voce monocorde dal carro. Restò quasi irretito dal tono della figura incappucciata sopra di lui: non un’incrinatura nella pronuncia, ma allo stesso tempo non destava alcun piacere all’ascolto; semmai essa sembrava svanire in un rumore man mano indistinto che lasciava dietro di sé inquietudine e dispersione. Senza guardare sopra di lui il ragazzo rispose debolmente «… ero in cerca di desideri e speranze sempre sognate, ma sembra che in realtà ci sia ben poco da trovare tra questi alberi». Ci fu un attimo di silenzio seguito solo dal vento che debolmente soffiava tra i rami attraverso il cielo opaco. «Forse hai sbagliato il modo del tuo cercare…» fece la voce. Il ragazzo sentì montare dentro di sé la rabbia ancora cocente e guardò sopra di lui stizzito. Le parole gli morirono però in gola: davanti a lui stava incappucciata una figura che sembrava priva di un volto, avvolta nei suoi panni grigi e indefiniti mentre inondava l’animo del ragazzo di un vuoto insopportabile. Si voltò stordito in cerca delle altre figure e notò con angoscia la stessa vacuità avvolta dai loro cappucci grigi. «Cosa cerchi dentro di noi, giovane?» riprese la voce monocorde della figura che lo aveva interpellato poco prima. «Ben poco in noi puoi trovare, ben poco è rimasto» continuò pacata. «… Cosa siete?» riuscì a dire con la voce corta il ragazzo continuando ad osservare le figure attorno a lui. «Solo ombre di quello che eravamo un tempo. Umani, come te… ma una vita passata a lungo e irrimediabilmente nel mentire a sé stessi, nel non vivere realmente le cose ha portato man mano a logorare i nostri contorni, far svanire i nostri volti e i nostri corpi in un vuoto che a stento riconosceresti, se non dopo un lungo guardare».
«Come può accadere questo…»
«Se getti via chi sei dentro e incanali la tua vita dietro parole e gesti di altri perderai anche chi sei fuori prima o poi, giovane»
«È davvero possibile? Ed è grave?»
«Sì, molto»
In quel momento, osservando meglio, al ragazzo parve di scorgere dei lineamenti sbiaditi all’interno del cappuccio con cui stava parlando. Si concentrò più a lungo su quella figura: ora pian piano riusciva ad intravedere degli occhi dallo sguardo perso contornati da rughe di un corpo che un tempo era stato carne; accanto una bocca stanca che pendeva in attesa sul volto di un adulto segnato dai giorni e dalla fatica dei suoi viaggi. «Sì…» fece la bocca affaticata, «… ora ci vedi meglio per quello che siamo e che eravamo, ma ormai è tardi per noi: ciò che prima era autentico è stato perso per sempre». Il ragazzo guardò incerto negli occhi svuotati dell’uomo d’ombra: «Come riuscite ancora a muovervi nel mondo allora?».
«Sopravviviamo… in mezzo a una folla, tra gli sguardi disattenti e superficiali dei passanti non ci riconosceresti mai. Solo fermandoti e osservando come te puoi scorgere qualcosa…»
«Per questo siete in viaggio?»
«Siamo sempre in viaggio, da una città all’altra per poterci sostentare senza essere visti, senza essere considerati dagli altri… sulla via raccogliamo man mano alcuni che come noi sono svaniti perché hanno abbandonato del tutto loro stessi per vivere senza concretezza, formando una lenta carovana di ombre senza punto fermo»
Il ragazzo rimase silenzioso per qualche momento mentre osservava la carovana delle ombre davanti a lui. Ripensò alla sua rassegnazione verso ciò che cercava da tempo, la sua idea di abbandonare tutto quello che per lui importava per dedicarsi ad altro, solo per far svanire la sua sconfitta dentro una vita lineare ad attenderlo a casa. «… E se ciò che uno pensa rappresenti se stessi risulta troppo difficile da trovare? Non significa forse che quel qualcosa non esiste o non fa per lui e dovrebbe scendere con i piedi per terra?». L’ombra dell’uomo lo guardò con vago interesse. «Forse è così… ma non penso lo sia per te, non lo vedo dai tuoi occhi. Forse il tuo modo di cercare te stesso, ciò che ti cova dentro, è sbagliato, ma questo non posso saperlo… ma se credi davvero il tuo sentiero sia sbagliato, puoi unirti a noi fino alla prossima città a nord, o anche più a lungo…» fece l’ombra. «No», rispose seccamente il ragazzo, «credo che continuerò per la mia strada verso il villaggio in pianura: lì saprò forse cosa fare».
«Allora sappi questo: non puoi vivere per sempre all’ombra dei tuoi giorni in questa vita. Il cammino ti si stende davanti tra gli alberi e il vento che soffia altrove, e solo tu puoi sapere la direzione dei tuoi passi e se davvero questi battono il terreno vicino alla tua anima»
«Cercherò di tenerlo a mente… anche se ora non mi è chiaro il modo»
«Non avere fretta, torna al riposo e ascoltati…. ma non smettere di farlo finché non avrai ripreso a cercare, o l’ombra farà svanire i passi che hai tracciato finora e ti nasconderà quelli che ancora hai davanti a te»
La figura diede un colpo pacato e impercettibile alla briglia che teneva in mano mentre finiva di parlare. I due cavali sbuffando iniziarono a muoversi lentamente e dopo pochi attimi lo sferragliare delle ruote sulla strada riprese il suo lavoro sonoro. «Addio allora» disse il ragazzo con qualche sicurezza in più nella voce. «Addio giovane. Possa tu trovare quello che cerchi e ricorda che inevitabilmente incontrerai l’ombra: starà a te attraversarla o farti attraversare da essa». La figura si voltò verso la strada lasciando dietro di sé e dentro il ragazzo un senso ancora più forte di vuoto, insieme all’enigma con cui si era congedata lentamente sulla via che li aveva fatti incrociare. Rimase ancora qualche tempo in contemplazione sul ciglio della strada scostando la terra umida da sotto i suoi piedi. Mentre il rumore dei carri si allontanava sempre di più, alzò il volto verso il cielo, odorando il vento tiepido che iniziava pian piano ad asciugare il mondo circostante. A sud-est, dietro le cime degli alberi, si intravedeva l’azzurro infilato dal sole limpido che iniziava a schiarire anche verso la foresta. Fece una smorfia, contratto nella sua mente tra le domande che aveva prima di iniziare il suo cammino e quelle affiorate ora che aveva deciso di interromperlo, e mosse un piede nella direzione scelta. Tra gli alberi, intanto, le chiome fischiavano silenziosamente al ritmo del vento, e ricoprivano il mondo intorno a lui di sentieri ancora da trovare.
- Paolo Andrea Pasquetti, 7 Ottobre 2021