Quello che mancava
Quello che mancava
c’era già
inutile ingoiare aria a morsi
per saziarti, spogliate le stoviglie
del banchetto, senza più intorno
chi non sapeva entrare
c’era già e lavorava
fuori da ogni luce
sotto il passo del contadino e della luna
c’era come il cielo e i papaveri
ricominciati ogni volta, a raccoglierti
nella casa del campo
come il fieno che naviga la terra
prima di essere pane
come la preghiera del gheppio
sparsa sopra, accanto
non era il cielo a mancare
erano gli occhi
e il tempo del respiro.
* * *
Nella poesia di Elisabetta Turchi le immagini quasi bucoliche vengono evocate da un verso all’altro con estrema vividezza, come a scandire la processione interiore di se stessi nel cercare ad ogni costo una solida e palpabile natura che ci definisca a pieno. Così la riscoperta di sé attraverso i versi franti e intermittenti assume il tono particolare di un consapevole sentimento della propria mancanza, del mancarsi nonostante tentativi spesso confusi che portano solo a raccogliere elementi di ulteriore vuoto.
Nell’evocazione di immagini domestiche e campestri, lo scorrimento del tempo della ricerca a tentoni di sé è scandito con efficacia dal ritmo delle assonanze inanellate all’interno dei versi: nel passaggio da un’immagine all’altra, è l’utilizzo preciso e concreto delle singole parole a trasportare lo sguardo rivolto al proprio interno verso il movimento esterno del mondo naturale. In questo cammino ambiguo attraverso le cose concrete e vive del paesaggio e quelle vuote e fredde del proprio spazio intimo, nasce la spinta a rincominciare come il ciclo delle cose attorno, per rendere fruttuosa la propria mancanza.
- Paolo Andrea Pasquetti, 30 Giugno 2021