Tre poesie di Simone Sanseverinati

In una città sorda,

il suono corrode la nascita.

* * *

Argento

Durante una quotazione impazzita

le placche d’argento hanno paura,

intrufoliamoci tra di loro:

in un grido che non stride,

dove la cupidigia non inghiotte,

dove le vetrine non mostrano, ma si appannano,

nel prurito gradevole che non diventa bolla,

in un lobo retto dalla quotidianità,

in un anello scevro da pretese di possesso,

dove un dono ritrae una promessa.

   

La mestizia incompleta

del vincitore, del positivo, del negativo o della sconfitta,

è speculazione, oro dei primi,

aspiro, nell’accezione spaziale, a un secondo posto,

la migliore offerta della prima persona plurale

e una temperatura siderale.

* * *

Ciò che non sorge

scende nel profondo scambio,

alle porte dell’abisso

sento l’emisfero.

* * *

Nella sua poesia Simone Sanseverinati si colloca all’interno di una rarefazione della parola utilizzata con coscienza e capacità, dando l’impressione di descrizioni fulminee in grado di aprire brevi e significativi squarci all’interno del telo quotidiano della vita. Infatti nello spazio creato dai versi si ripropone più volte l’idea e lo sforzo di penetrare l’essenza delle cose, intrufolarsi in esse alla ricerca di un dono che probabilmente faccia rima con la semplicità esistenziale riflessa in quella della narrazione poetica che la racconta. In questa discesa sembra farsi spazio il concetto di un suono contrapposto al silenzio di una iniziale situazione di vaghezza e dispersione: la strada porta così fin dentro al profondo di sé, nell’attesa di una nascita interiore che trovi palpabilità.

In questo movimento le parole semplici utilizzate nei versi incidono con efficacia il solco della rappresentazione poetica: infatti la rarefazione a cui esse danno luogo diviene un atto che apre a spazi suggestivi ed interpretativi, alludendo ad altro grazie ai limiti quantitativi che lo stesso atto poetico in sé si pone. Nelle narrazioni più lunghe – pur nella loro concisione – questo percorso è scandito da un uso ripetuto della punteggiatura, al fine di evocare pause e intervalli in grado di rendere al meglio quel senso di voluto limite che mostra più chiaramente sé stesso nei componimenti più brevi. Così tra i versi si apre la possibilità di alludere a qualcosa di più, di ascoltare un suono che al proprio interno tracci una via da seguire.

  • Paolo Andrea Pasquetti, 22 Giugno 2021

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