Tre poesie da D come Davide – Storie di plurali al singolare di Davide Rocco Colacrai

Gente di montagna – dedicata a Pietro

Occupano come immense donne
la sera:
sul petto raccolte le mani di pietra
fissan sbocchi di strade, tacendo
l’infinita speranza di un ritorno.

Mute in grembo maturano figli
all’assente.[1]

Sono nato in autunno:

come la gente di montagna era solito dire mio padre –

nell’eco materno

delle madonne immacolate

che innalzavano i loro silenzi al cielo

senza sfiorarlo mai –

tra fiori di tarassaco

che bussando alla porta umida di leggende e di ritorni

mi davano il benvenuto –

davanti a un neo d’ombra

che si dischiudeva ad ampi cerchi d’aquila

nel benedire la mia storia –

con l’odore della pioggia a stemperare quello della grappa

nel definire l’ombelico della terra

dove si posavano le fate,

azzurre come la luna quando ricordava

a ognuno il suo posto.

   

Il respiro ancora imbevuto di liquido amniotico

si condensava nei passi di cerva

che impercettibilmente risvegliavano i larici

   

l’attesa veniva curata dalle guglie

quando si lasciavano corteggiare dall’orizzonte in un inchino

   

all’aurora la pace dei sogni.

   

Sono nato in autunno:

come la gente di montagna era solito dire mio padre –

nella profezia del mio nome.

* * *

Lucciola tra sogni che imboccano il cielo (a Manny, il mio cane che mi assomiglia-va)

Cosa seminano i miei occhi per l’ultima volta

prima di congedarsi a questa vita

in un soffio di rugiada?

   

Forme che scivolano in un risucchio d’ombra

dove si mescolano gli assoli

di chi ho amato,

l’affanno buono nella carezza di Dio

quando si apre alla certezza

che qualcosa è iniziato,

l’origine che profuma di margherite a marzo,

il mondo fragile ma bello

che scompone il mio sguardo

dalla forma di una foglia

che sorride

   

ci sono troppi ricordi a farsi strada

in questo silenzio,

fanno orbitare il mio cuore

in un valzer di vendemmia affinché non scordi niente,

resiste un solo desiderio

nella striatura grigia del pelo,

la favola più bella prima di concludere

il mio addio.

   

E adesso che non sono più crocifissa

ai piedi della pioggia,

nuda d’imbrogli e di follia,

lucciola tra sogni che imboccano il cielo,

mi veste la promessa che avevo fatto a me stessa

prima che mio padre potesse decidere

il mio nome.

* * *

Il presepe dai due bambini Gesù – dedicata a Nicola e Mattia[2]

   E la luna è una palla, e il cielo è un biliardo[3]

E li ricordo insieme nella loro creazione, Nicola e Mattia,

come due assoli d’uomo

stretti a illuminare il grembo dell’orizzonte

nel quale si formava il primo passo tremulo di due vite in una

attraverso il girotondo delle stagioni,

pronti per schiudersi in uno spazio lontano dalle ombre

dove al respirare sottopelle del cielo

nella scia di sogni che addolcivano l’attesa 

si incontravano le favole più belle

di fate che ricamavano con le margherite

arcobaleni per occhi lucidi di assenze,

angeli che seminavano l’azzurro

nei cuori ancora umidi di speranza,

di balene che si corteggiavano in una eco d’argento a mezzanotte

quasi a ricordare che dall’infrangersi di un giorno

ne nasce sempre uno nuovo,

di stelle comete che si tuffavano sulla terra

nella preghiera di un bambino

e frammentavano tra le corde di chitarra

di una ninnananna.

   

E li ricordo insieme in una sola promessa, Nicola e Mattia,

con la quale salvare la parte buona del mondo,

fare del caos dei giorni perfetti,

dare un nome al presente,

annodare le paure come un mazzo di rose con cui confermare la volontà alle parole

e rendere il loro cuore una casa.

   

E li ricordo insieme nel loro presepe d’amore, Nicola e Mattia,

a scaldare infaticabilmente, come fanno quei padri che non sanno di essere anche eroi,

il loro essere due bambini Gesù.


Nella poesia di Davide Rocco Colacrai, tratta dalla sua raccolta D come Davide – Storie di plurali al singolare (Le Mezzelane casa editrice, 2023), si tocca con mano un’evidente tensione narrativa. Per l’io che canta, infatti, i versi diventano mezzo per raccontare una storia – che sia la propria o di altri – all’interno della quale si muovono personaggi ben distinguibili, in un continuo e cosciente dialogo con le voci di altri autori passati e presenti, come si nota chiaramente dalle varie epigrafi in apertura di ogni componimento.

In tal senso, le storie narrate si compongono man mano attraverso il sovrapporsi di numeroso immagini evocate dalle parole una dietro l’altra, seguendo un ritmo corposo, tra versi che si allungano e distendono il più possibile per cristallizzare una scena ed altri che si contraggono per proseguire verso il prossimo volto, la prossima inquadratura di lato. In particolare, la descrizione essenzialmente metaforica delle immagini rende quest’ultime mai fini a se stesse: al contrario, ancorano ad esse i personaggi che si muovono al loro interno in una forte continuità lirica.  Il canto così non né tanto e solo narrazione descrittiva ma, appunto, unione di un luogo ad un io in cammino che ogni volta, narrandosi, si riscopre ad abitarsi.

  • Paolo Andrea Pasquetti, 4 Aprile 2023

[1] Le Montagne, Antonia Pozzi.

[2] Nicola e Mattia sono i protagonisti, e Mattia anche l‘autore, del libro Lo capisce anche un bambino – Storia di una famiglia inconcepibile, Feltrinelli, 2021.

[3] Lucio Dalla, Anna e Marco.

Rispondi