la ragnatela appesa al ramo del castagno
e i capelli genuflessi
il passaggio è aperto ma
sembra un’arpa in decomposizione
ammutolita dal troppo rumore
la bocca si è sciolta tempo fa
nei vigneti di mio nonno
bruciati dalla fatica
un invito
a cui ora non so più rispondere
* * *
dovevi soffocarla nel sogno
la tua metà imprecisa
evitare il contagio
ti sembra poco?
il platano davanti a te
ha una cavità:
potresti nasconderti
in quello spazio umido
* * *
più di quanto io riesca
a deglutire
con i denti insanguinati
il corridoio, una scia che va
e viene
tra odori fecali e scissioni
a una cicatrice di distanza
dall’ultima salvezza
il cloroformio affama, afferra
con artigli da simulatore
limitare i danni
appassirsi
* * *
Nella poesia di Giuseppe Settanni – con suoi i versi tratti dalla raccolta Affreschi strappati (Edizioni Ensemble, 2022) – emerge chiaramente, tanto sul piano sintattico quanto su quello estetico, una tensione alla disgregazione formale e lessicale, al disperdersi nello spazio bianco del racconto poetico che mima così la dispersione interna dell’io il quale, inevitabilmente, si ritrova ad usare parole che fanno da eco a questa realtà interiore frammentata. In maniera interessante, ogni “frammento” da cui il singolo testo è composto evoca, attraverso l’uso di parole concrete tra aggettivazioni forti e termini specifici, immagini ruvide e tuttavia fortemente evocative: una sorta di isole di eventi a sé stanti che la parola poetica raggiunge saltando da una riva all’altra, da una strofa a quella seguente per annotarne, tuttavia, il loro rimanere all’interno di un medesimo arcipelago narrativo che allude ad una sua voce e continuità propria.
Sfruttando la brevità dei versi, il ritmo che ne consegue risulta conciso e scandito con forza da ogni interruzione narrativa: il risultato è una serie di sentenze poetiche narranti che, seppur nella loro concisione, riescono a rimandare il lettore a spazi di senso ulteriori da approfondire. In questi paesaggi di parole disperse sembra, nonostante tutto, rimanere aperto un passaggio per una ricomposizione che, però, è ancora di là da venire: la voce e gli strumenti del canto sono, appunto, disgregati e non possono accoglierne l’invito a proseguire. Forse la durata riposa nel ritmo che ancora, lievemente, lega tra di loro le parole dell’io.
- Paolo Andrea Pasquetti, 9 Novembre 2022