Al centro dell’estate, nel calore,
s’é fatto asciutto d’un tratto il parlare
delle cose: la casa, il mare, gli alberi
non dicono che sé stessi. Aderire
alla vita ha un prezzo di silenzio: vivere
e basta, semplicemente. Solitudine
insondabile, estranea mia ombra.
* * *
É già tempesta ai monti. Un borbottare
si fa strada in città, sui tetti e i muri
s’allunga un’ombra. “È morta. La sorella
di Anna, dico. É morta”, fa una voce
per la via. Si perde la risposta.
Fare cose da vivi, con del pane
e pomodori mangiare. Non serve altro.
* * *
È indaffarata una mosca a ronzare
dentro casa, di tutto s’interessa:
pareti, costole di libri, piatti
lasciati ad asciugare. Inesplorato
mondo il mio vivere ordinario, dove
grattare via la carne dalle ciotole
dei gatti a lei sa quasi d’eldorado.
* * *
Nelle poesie di Simone Migliazza spicca sin da subito l’attenzione per le cose “minute” del vivere quotidiano che, cantate dalla poesia, riescono nel loro tentativo di non dire altro che sé stesse, trovando un’efficacia del loro stesso significato di fronte all’io che le osserva proprio grazie alla loro semplice, asciutta ed essenziale presenza che resta lì, ineludibile. Questa efficacia dell’essenzialità del dire poetico si rispecchia, formalmente, nella costruzione dei versi stessi: il ritmo è scandito in modo certo e puntuale da un uso deciso della punteggiatura che, delineandosi man mano, dà luogo a brevi frammenti quasi, sentenze che si susseguono l’una dietro l’altra in maniera ordinata.
Tuttavia, lo stesso uso non casuale di assonanze e rime crea un collante, una linea unificatrice per ogni singolo pensiero poetico formando un canto che, appunto, trova una sua unità narrando le cose semplici e immediate attraverso un io che sceglie con cura ogni singola parola per mantenere viva la loro efficacia di senso. Così, le cose stesse della quotidianità narrata trovano un’unità tra di loro, un significato ultimo che le parole sembrano suggerire e indicare a chi sta loro di fronte, in attesa.
- Paolo Andrea Pasquetti, 21 Settembre 2022