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Tre poesie da La scoperta del fuoco di Guglielmo Aprile

Il segreto degli aquiloni

Non al mondo appartieni ma a una favola,

tu a diverse altitudini

viaggi rispetto al traffico e alla folla,

e sai che sogni cullino

gli aquiloni dormienti sopra i tetti:

tu non abiti i nostri

cunicoli scavati nella cera,

tu non indossi questi

severi brutti abiti di pietra,

ma dall’incantesimo nata

di una notte d’agosto, tu figlia

dei rami che alle prime ore un brivido

di voli squilli odori

e cicale impazzite

a farti festa scuote;

   

tu sai di quale reame segreto

vadano in cerca i pollini

e tutte le cose che viaggiano

sospese a mezz’aria e non hanno

quasi peso, e alle rotte

del vento ad occhi chiusi si consegnano.

* * *

Ti porta lo scirocco

Non mia né di nessuno, è allo scirocco

che appartieni, e non alle mie mani

ma alle cavallerie del sud che l’oro

dell’estate saccheggiano dai campi

e in scia alla loro fuga lo disperdono.

   

E ascoltandoti apprendo un’altra lingua,

giorno per giorno: non quella del mondo,

ma quella delle conchiglie e degli alberi:

intraducibile, in codice, oscura

a chi non ti abbia mai vista sorridere.

* * *

Tu che sei di ogni alba testimone

Le tue labbra, asse e vertice

delle orbite siderali, e archivio

di miti e cosmogonie; tu precedi

la prima spiga, e schiudi

i cancelli all’estate

quando irrompe e sprigiona fiamme e oro

dalle labbra dell’erba; e nel tracciato

delle nuvole fissi

cardini e punti chiave di una nuova

teologia: è te che tutto ciò

che splenda o voli

venera; ed è la rosa

della tua bocca un tempio

dentro cui un cieco

ogni giorno entra e aspetta che esca l’alba.

* * *

La linea guida principale dei testi poetici di Guglielmo Aprile, tratti dalla raccolta La scoperta del fuoco (Leonida Edizioni, 2022), pare essere quella di un dialogo ininterrotto con un tu sempre presente come funzione principale del movimento delle parole verso di esso. Un tu che spesso si fonde – ogni volta che l’io poetico tenta di definirlo davanti ai suoi occhi – con le immagini e le sensazioni del mondo naturale circostante. Da qui, infatti, scaturiscono immagini idilliache che trasportano la narrazione dei versi nello spazio indefinito e atemporale di una rivelazione: è proprio grazie al passaggio promesso e atteso di questo tu che, dischiudendo nuovi luoghi in cui ritrovarsi in altrettanti nuovi modi, l’io apprende una nuova lingua, nuove parole per dire le cose all’interno di un’intensa ed erotica fusione con la natura.

In questo contesto, spiccano i numerosi enjambements a legare i versi in questa tensione avvolgente assieme ad assonanze interne e inversioni come quasi a scandire un ritmo stabile, ben definito e posseduto con fermezza dall’autore. Allo stesso tempo, questo tu inseguito con le parole ed agognato in tutto ciò che può donare a chi sia testimone del suo passaggio si assesta in una particolare e assoluta dimensione di non appartenenza: né dell’io né di altri ma solo di quell’universo naturale di cui è espressione ed ipostasi tra amore e quasi religiosa deferenza. Così il dialogo cresce e nutre il cammino durante il suo percorso tra parole ed immagini.

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