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Tre poesie da Sedimenti di Andrea Keji

VII.

Tra le righe dell’acqua sui finestrini

un’immagine indefinibile.

Un momento di terribile vuoto.

Il silenzioso attendere

di un gesto nascosto.

Tra le note dell’acqua sui vetri

si perde il brivido di ricordi deboli.

Le indecisioni così forti

e le spaventose prepotenze dell’ego.

Nella pioggia

un colore amaro che

mi ricorda il passato,

la tremenda nostalgia

di qualcosa che non c’è mai stato.

La violenta passione di ieri

l’inafferrabile senso

di ciò che sono ora.

* * *

XV.

Nei paradisi

distanti da noi

si apre una vertigine

lungo il destino.

L’inafferrabile disturbo

che guida i nostri momenti,

poi l’improvviso esplodere

dell’incertezza, dell’indeterminato.

È passata un po’ di luce da fuori

non capisco perché

non riesco a sopportarvi.

* * *

XVII.

I nostri silenzi imbarazzanti

sotto i tiepidi spunti di un vago presente.

Le sottomissioni obbligatorie

e i sotterfugi emotivi,

come lo sbarco sulla luna,

come il D-Day.

È finito il giorno,

le ore si accarezzano placide,

sento qualcosa quaggiù

che stavolta non so tradurre.

Come un vuoto infinitesimale,

come un soldato in trincea,

come un tattico rifiuto,

come un suono indecifrabile e spento.

C’è qualcosa quaggiù

che non so convertire.

mi sembra un male incurabile

o la gioia che non riesco ad accettare.

Migliaia di ore lontani,

i riflessi e l’eco dei pensieri

non possono tornare indietro,

aspetto che passi

e mi volto a guardare.

* * *

Nella sua poesia Andrea Keji costruisce una forma poetica legata al suo interno da frasi brevi e puntuali, dove ad ogni pausa sintattica si accompagna lo scandire di un ritmo preciso dei versi nella loro autonomia, tuttavia mantenendo una fluidità tra di loro efficace. In queste sentenze concise, cariche di emotività, insistentemente affiora il peso di un vuoto interiore che inanella un verso dietro l’altro con la sua presenza scomoda e allo stesso tempo necessaria per la voce che lo racconta.

Le poesie dunque, tratte dalla raccolta Sedimenti (Youcanprint, 2019), nella loro sequenza sembrano disegnare il tentativo di convertire quel vuoto in parole che sappiano ricondurlo a sé, trovargli uno spazio nel presente concreto in cui possa crescere ritrovando un senso positivo: quel vuoto che nel tempo della narrazione poetica pare invece non essere sopportato né guardato dall’io narrante; occorre dargli compimento lungo il cammino. In questo percorso poetico accanto alla frequenza delle pause spicca quella delle aggettivazioni, con lo scopo di definire gli spazi invece interiori in cui il vuoto spesso si annida e la cui narrazione può anche prendere velocità nei versi che la raccontano attraverso la rapida successione di metafore, un catalogo a cercare quasi di definire la forma impalpabile che si trova dentro di sé. La strada per tradurre il proprio luogo interno verso l’esterno e gli altri passa attraverso la parola che cerca di comprenderlo.

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