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Quello che mancava di Elisabetta Turchi

Quello che mancava

Quello che mancava

c’era già

inutile ingoiare aria a morsi

per saziarti, spogliate le stoviglie

del banchetto, senza più intorno

chi non sapeva entrare

c’era già e lavorava

fuori da ogni luce

sotto il passo del contadino e della luna

c’era come il cielo e i papaveri

ricominciati ogni volta, a raccoglierti

nella casa del campo

come il fieno che naviga la terra

prima di essere pane

come la preghiera del gheppio

sparsa sopra, accanto

non era il cielo a mancare

erano gli occhi

e il tempo del respiro.

* * *

Nella poesia di Elisabetta Turchi le immagini quasi bucoliche vengono evocate da un verso all’altro con estrema vividezza, come a scandire la processione interiore di se stessi nel cercare ad ogni costo una solida e palpabile natura che ci definisca a pieno. Così la riscoperta di sé attraverso i versi franti e intermittenti assume il tono particolare di un consapevole sentimento della propria mancanza, del mancarsi nonostante tentativi spesso confusi che portano solo a raccogliere elementi di ulteriore vuoto.

Nell’evocazione di immagini domestiche e campestri, lo scorrimento del tempo della ricerca a tentoni di sé è scandito con efficacia dal ritmo delle assonanze inanellate all’interno dei versi: nel passaggio da un’immagine all’altra, è l’utilizzo preciso e concreto delle singole parole a trasportare lo sguardo rivolto al proprio interno verso il movimento esterno del mondo naturale. In questo cammino ambiguo attraverso le cose concrete e vive del paesaggio e quelle vuote e fredde del proprio spazio intimo, nasce la spinta a rincominciare come il ciclo delle cose attorno, per rendere fruttuosa la propria mancanza.

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