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Antonia Pozzi – Riuscire a toccare le cose

Leggere poesia può farti trovare molta vita tra le parole che cerchi, e queste ti accrescono e rimangono insieme ai tuoi pensieri. Sicuramente quella di Antonia Pozzi è una poesia del genere, di quelle che riguardano la nostra anima al suo stadio più intimo e delicato: se c’è infatti una cosa che mi colpisce sempre in maniera significativa delle sue parole, è proprio l’estrema facilità di toccare con una mano leggera[1] sensazioni e cose spesso inespresse nei nostri angoli di vita. Questo, soprattutto, riesce a farlo con una semplicità a volte estrema, regalando attimi di dolcezza e pienezza fuori dal comune:

[…] e questa prima erba

libera dalla neve

chiara

che fa pensare alla primavera

e guardare

se ad una svolta

nascano le primule […][2]

Anche in questo caso – come abbiamo detto la scorsa volta per Ungaretti – vale ciò soprattutto: sentirsi dentro la vita e guardare il mondo come qualcosa che riguardi anche noi, e non sia solo un esterno separato. Ma nella poesia di Antonia questa ricerca va più a fondo, in un certo senso, nel suo tentare la sensazione del contatto reale, del proprio corpo a contatto con le cose. Questo è anche un problema che riguarda ognuno di noi, ogni volta che rincorriamo la possibilità di afferrare ciò che desideriamo possedere, sentire dentro e fuori di noi per poter in qualche modo sentirci in piena linea retta con la vita, sperimentando spesso la frustrazione di mancare quel contatto, per i nostri limiti o forse per le occasioni che non si incrociano nel modo atteso:

Tristezza di queste mie mani

troppo pesanti

per non aprire piaghe,

troppo leggére

per lasciare un’impronta […][3]

Ma in realtà – le parole di Antonia ce lo dicono molto bene – voler afferrare le cose per appropriarcene, al contrario e senza invece accoglierle nella loro incostanza, porta solo a danneggiare ciò che desideriamo, ciò che amiamo nei nostri percorsi («Rinascere – non sai […] / il senso delle cose toccate / nessuno ti cancellerà più / dalle dita […]»[4]). Detto in maniera più semplice, ciò che corrisponde ad una morte priva di rinascita è uccidere ciò che potrebbe permettere quest’ultima, nel desiderarla ad ogni costo. Allora forse, a volte, vale la pena dire:

[…] Penso che forse è buono

che cadano da me

tutti gli alberi […][5]

Trovare ciò che corrisponde alla nostra vita significa anche, allora, accettare il fatto che questo non dipenda interamente da noi: accettarne la possibile (anche se non certa) perdita, la sua transitorietà rispetto a una continuità logica che è altra cosa dal durare cosciente, ogni giorno, all’interno di un sentiero di cui si è parte e non (solo) costruttori, e sicuramente non geometri infallibili. Per questo allora ci accorgiamo di riuscire a lasciare qualcosa per noi, per gli altri e per ciò che amiamo proprio in quei momenti di appartenenza più ampia («Per immense foreste camminammo: / i muschi / racchiudevano l’orma del tuo piede»[6]) dove alla fine si arriva a toccare – o forse (o meglio, chi potrebbe dirlo) sfiorare – le cose che sono parte di noi. Fare questo significa proprio tentare di incamminarsi su sentieri delle nostre giornate che sentiamo appartenerci davvero, tra quelli che sentiamo essere i nostri boschi e i nostri crocevia, e perciò la poesia di Antonia qui su Radura Poetica ci accompagna su questo percorso in cerca di quelle parole che riguardino anche noi.

Ritrovarsi allora dentro la consapevolezza di essere in contatto con quello che amiamo, e stupirci di quante volte abbiamo tardato a rendercene conto:

E la mia vera casa

con le sue porte e le sue pietre

sia lontana,

né io più la ritrovi,

ma vada errando

pei boschi

eternamente –

mentre tu dormi

ed i mughetti crescono

senza tregua.[7]


[1] La leggerezza nella Radura è qualcosa di positivo, ed ha a che fare con la semplicità che arriva al cuore delle cose. Potremmo riassumerla con le note parole di Calvino: «Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore» in Lezioni Americane, Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano, 1993.

[2] Tramonto, in A. Pozzi, Tu sei l’erba e la terra – le più belle poesie d’amore, Garzati s.r.l., Milano, 2020, vv. 4-10.

[3] Sfiducia, Ivi, vv. 1-5.

[4] Rinascere, Ivi, vv. 27 e 32-4.

[5] Non so, Ivi, vv. 6-8.

[6] Creatura, Ivi, vv. 4-6.

[7] Tempo, Ivi, vv. 17-26.

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