1. Inizio

«Dicono che calpestare rami, seguendone il rumore che risuona nel bosco, indichi sentieri buoni da percorrere».

Il fuoco crepitava basso mentre il ragazzo, dopo aver parlato, scaldava i polpastrelli anneriti prestando attenzione a non bruciare le linee che ne formavano la superficie. Aveva imparato ad avere cura delle proprie mani, sulle quali ritornavano ogni volta i movimenti dell’incidere parole su altre superfici, per farle rimanere. Intanto il vecchio lì di fronte taceva: sembrava che il discorso del giovane non lo avesse toccato, e continuava a ravvivare il fuoco con il proprio bastone. Ci fu uno schiocco sordo proveniente dall’interno del falò, mentre l’aria si liberava dalla legna in combustione. Dopo un altro breve momento di silenzio, il vecchio si sistemò meglio sul tronco dov’era seduto e disse piano «Il silenzio di questa foresta è antico: io mi limito a percorrerla solo come tramite tra un villaggio ed un altro. Non ho desiderio di avventurarmi al suo interno… e ormai è autunno anche per me», mentre terminava di parlare, con un cenno della testa indicò l’ambiente circostante ai due. Il ragazzo fece maggiormente caso alle foglie sbiadite ai suoi piedi che iniziavano a cadere dagli alberi: ora, di notte, sarebbe stato difficile scorgerne i colori ma con la luce del sole la vecchia foresta, in quei giorni, era avvolta dai toni sfumati della stagione autunnale e il bruno delle cose scendeva tra le foglie rosse e ingiallite. «Io però ho bisogno di addentrarmi per quei sentieri, e sono ancora nel pieno dell’estate». Il vecchio sorrise di sbieco mentre si alzava con qualche difficoltà, poggiando la mano all’albero dietro di lui. «Anche qui è stata estate una volta, ragazzo…» si interruppe un attimo gemendo per i dolori alle articolazioni, poi si tirò su del tutto con un ultimo sforzo. «…e questi alberi ne portano ancora memoria…» e iniziò con cura a scrostare dalla corteccia un muschio spesso e grigiastro che ne ricopriva in buona parte il tronco. Il ragazzo guardava insospettito la scena, pensando a qualche passatempo boschivo tipico dell’età ultima della vita. «Conosco bene l’alternarsi delle stagioni amico mio, non metto in dubbio che qualche mese fa…» «non è come pensi» lo interruppe il vecchio lasciandosi quasi cadere con un altro gemito sommesso sul proprio tronco. «L’autunno di questa foresta dura da ben prima che tu nascessi, e che io iniziassi a mettere un piede l’uno davanti l’altro». Si mise di nuovo a sedere con accortezza. «Cosa vorresti dire? Che questa foresta è rimasta così da decenni o oltre?» solo in quel momento fece più caso al fatto che le foglie ai suoi piedi non sembravano aver portato via molta parte della chioma agli alberi soprastanti, e poggiando la mano sulla superficie ruvida e a tratti muschiosa della grossa radice dentro cui stava rannicchiato, ebbe come la sensazione che lo scorrere della linfa al suo interno fosse profondamente lento, come se seguisse un flusso antico e impercettibile nei suoi movimenti, curandosi di avanzare nello spazio e nel tempo solo in lunghezze indefinibili secondo categorie mortali. Il vecchio sorrise ancora, stavolta un poco più apertamente. «Vedo che inizi a capire» disse «lascia ora che ti racconti una storia sui sentieri di cui sei alla ricerca…» e il ragazzo lo vide sgretolare, tra le mani raggrinzite, il muschio grigiastro come se fosse già del tutto secco e una volta frantumato, soffiarlo con un sospiro antico all’interno del fuoco.

La fiamma improvvisamente guizzò verso l’alto, emettendo il doppio del calore, mentre il ragazzo sentì pungere sulle proprie guance il tocco invisibile del fuoco che in quel momento prese un colore argenteo, illuminando maggiormente con la sua luce biancastra il bosco circostante e le sagome degli alberi, come se ora i loro tronchi diventassero quasi colonne marmoree all’interno di una cattedrale silvana la cui cupola si intrecciava tra i rami e le chiome di ognuno di loro. In quell’atmosfera surreale, il giovane sentì echeggiare da ogni lato della foresta la voce del vecchio, ora ancora più bassa e profonda. «In un tempo di cui non si ha memoria nel conto degli anni umani, e la foresta era nel pieno della sua estate con i suoi prati lussureggianti e freschi, si aggiravano tra i faggi e le querce due poeti nel fiore degli anni. Non ricordo i loro nomi, o se davvero ne avessero qualcuno: erano una ragazza dai capelli argentati e un ragazzo, giovane come te, dai capelli biondo cenere. La ragazza amava la notte e le stelle che svolgevano i loro corsi nel suo cielo scuro, e più di ogni cosa la luna pura nel suo biancore quando non c’erano nuvole ad impedirne la vista. Spesso si attardava tra le rive dei ruscelli del bosco, suonando e cantando parole che sapevano di notti fresche d’estate e mentre, pendendo da un albero, lasciava scorrere le dita tra la corrente docile dei fiumiciattoli, le lucciole brillavano intorno e tutto era immobile al suo canto. Il ragazzo amava il sole scaldare la terra ricolma dei suoi doni, guardando i suoi raggi sminuzzarsi tra i disegni delle fronde degli alberi nodosi, seguendole nel loro cadere al suolo per illuminarlo. In genere lo si vedeva volteggiare tra le spighe mature del grano dei villaggi vicini, cantando e suonando parole che rimandavano al calore buono delle mattinate estive, quando ogni cosa cresceva e lui suonava tra i campi e gli alberi, e i fiori con le corolle aperte ad attingere la luce gli facevano da letto sull’erba, mentre il giorno si muoveva assieme al suo canto. Più del sole e della luna i due giovani poeti però si amavano l’un l’altro: una volta lei era stata svegliata dal canto allegro e melodioso della voce del ragazzo, mentre dormiva come solito vicino ai suoi torrenti. Si era avvicinata, insonnolita, e dal folto della foresta aveva scorto la sua sagoma danzare tra le onde del grano lì vicino, rimanendo colpita dalla sua bellezza e dalla sua voce, fissandolo a lungo come si fissa un cervo che avanza timido nel bosco. La notte seguente, lui fu svegliato dal suono delle dolci parole della ragazza, e voltandosi verso gli alberi, aveva intravisto i suoi capelli argentei risplendere al riflesso della luna sulla corrente del fiume: pensò di trovarsi, probabilmente, in un sogno e sprofondò in un dolce sonno dal profumo fresco che emanavano i fiori notturni.

Ma la ragazza non amava la luce del giorno, perché il sole così forte feriva la sua pelle delicata, e il ragazzo non amava la notte, perché sentiva la mancanza delle cose del mattino, e temeva che il buio lo circondasse. Così si incontravano al tramonto e all’alba, prima che uno dei due andasse a coricarsi e subito dopo che l’altro si fosse appena svegliato: così si rincorrevano tra i prati e i campi mentre il sole sfumava arrossandosi nella sera, quando il sentore delle cose sembrava svanire, e camminavano mano nella mano tra i boschi mentre lo scuro del cielo iniziava a schiarirsi, e le sagome dei tronchi e i colori della foresta cominciavano a mostrare di nuovo le loro sfumature. E si racconta di come, in quegli incastri del tempo tra il sole e la luna, i loro canti si unissero in melodie di straordinaria bellezza, e le loro parole dessero vita a cose mai dette o ascoltate, mentre il mondo scorreva e l’estate rischiarava i loro passi. Così, si pensa che a volte lasciarono incise sulle cortecce di qualche albero e sulle pietre di qualche ruscello alcune delle loro parole, e coloro i quali sono riusciti a trovarle, leggendole, dicono di aver potuto toccare con mano ciò che esiste. Un giorno, o una notte (chi potrebbe dirlo), dopo molto vagare tra l’avvolgersi e il rincorrersi, i due giovani poeti giunsero nel profondo della foresta e videro aprirsi davanti a loro un’ampia radura, dove crescevano fiori multicolore di grande bellezza e vicino scorreva un piccolo ruscello limpido. Colpiti dallo splendore del luogo, iniziarono ad attardarsi tra i prati di quella spaziosa radura e la ragazza, prendendo per mano il giovane amato e dicendogli «Vieni», lo condusse al centro del grande spazio: e lì giacquero sdraiati a lungo, cantando e sfiorandosi la pelle a vicenda, nell’attesa di un’altra parola che arrivasse a riempire quel momento di unione. Il tempo di transizione tra chiaro e scuro stava ormai terminando, ma nessuno dei due ormai sapeva se fosse l’alba che stesse sorgendo o la luna ad avanzare, tanto presi dall’atmosfera di quel luogo. Il ragazzo, ansioso di non poter avere altro tempo a disposizione, estrasse dalle sue vesti una spiga di grano, che si era spezzata durante la loro ultima corsa. «Avevo intenzione di donartela proprio oggi, perché è ciò che più mi rappresenta: eppure ora non è come la vorrei, avendola danneggiata senza volerlo». La ragazza prese sorridendo dolcemente il dono tra le mani bianche e sottili, poi colse delicatamente dal prato una campanula violacea che fioriva poco distante. «Avrei voluto anche io donarti questo fiore che amo più degli altri, che più mi rappresenta, senza che mai si rovinasse: ma so che ora, cogliendolo, svanirà lentamente tra le tue mani. Eppure lo dono a te, perché anche noi svaniremo insieme al fluire delle cose, ma avremo sempre un luogo dove restare, qui tra di noi» disse porgendoglielo. E il ragazzo, accettando il dono, seppe come lei che il desiderio sotterraneo che li univa era durare insieme superando, forse, la forma che il tempo avrebbe portato loro via.

Così rimasero abbracciati mentre il sole sorgeva o la luna saliva nel cielo, e fu allora che iniziarono a fondersi l’una con l’altro: i capelli di lei avvolgendo il volto di lui divennero una cosa sola, e le braccia di lui attorno alla schiena di lei cominciarono a farsi corteccia per proteggerla e accoglierla insieme al suo corpo, mentre i loro piedi affondavano nel terreno e la loro forma cercava il cielo, aprendosi a volta sopra il terreno erboso, ramificandosi in foglie ora dorate, ora argentee, che brillavano alla luce indefinita del cielo, mentre al centro della radura cresceva e rimaneva un grande albero nodoso e splendido nel suo apparire. Così si racconta che rimasero da quel momento: un grande albero al centro della grande radura di questa foresta, e spesso i poeti come te vanno a rendergli omaggio, cantando ai suoi piedi le proprie parole che hanno da donare a quel luogo e a coloro che lo abitano amandosi in fusione, e lasciando sui suoi rami ghirlande, fiori e doni votivi per la parola e ciò che può illuminare quando viene detta».

La voce del vecchio iniziò pian piano a tornare al suo normale tono, e il fuoco diminuì il proprio volume, tornando al suo colore ordinario mentre il ragazzo abbacinato dalle sue fiamme si riprendeva, prima di rendersi conto delle lacrime che bagnavano le proprie guance. Ci fu un lungo silenzio tra i due, mentre le fiamme scoppiettavano di nuovo tranquille e gli alberi nella notte riposavano silenziosi sopra le loro teste. Il fumo saliva su nel cielo che faceva da luogo alle stelle, ma la luna quella sera non si scorgeva. Dopo qualche attimo, il ragazzo disse «Cercavo da sempre una durata nei miei giorni. Ora che ne ho sentito il racconto, ne ho in parte paura. Adesso, però, conosco cosa cercare tra i miei sentieri. Forse seguire il rumore dei rami aiuterà davvero».

  • Paolo Andrea Pasquetti, 26 Aprile 2021

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